Dimissioni e stipendi: cause, conseguenze e soluzioni
Stipendi bassi e stagnazione salariale causano le dimissioni in Italia. Analizziamo cause, conseguenze e soluzioni HR: welfare, flessibilità e volontariato aziendale.
Dimissioni volontarie e recessione salariale
Il mercato del lavoro italiano si trova ad affrontare un’ondata di dimissioni volontarie che ha raggiunto livelli record negli ultimi anni. Questo fenomeno globale, chiamato Great Resignation, assume in Italia contorni particolari a causa di una profonda e storica stagnazione salariale. La RAL è rimasta ferma per decenni, in netto contrasto con l’incremento osservato nella maggior parte dei Paesi OCSE e dell’Eurozona.
Questa paralisi salariale non è casuale: è l’esito di un sistema produttivo dominato da piccole imprese che spesso operano con margini di profitto ridotti e competono prevalentemente sul contenimento dei costi.
A ciò si aggiunge l’elevato cuneo fiscale, che rende oneroso per le aziende tradurre un aumento di costo del lavoro in un aumento significativo in busta paga.
I lavoratori, pertanto, si dimettono principalmente perché la retribuzione non risulta più adeguata al livello di istruzione, alle responsabilità ed al crescente costo della vita dovuto all’inflazione.
Conseguenze di stipendi bassi: turnover, quiet quitting e fuga di talenti
Il primo effetto è un elevato tasso di turnover: le dimissioni frequenti generano costi ingenti per la continua selezione, l’assunzione e la formazione del nuovo personale. In aggiunta, si verifica una costante perdita di know-how e di esperienza specifica, che rallenta la produttività e l’innovazione interna.
Un fenomeno correlato e altrettanto dannoso è la crescita del “Quiet Quitting” (dimissioni silenziose), dove i dipendenti, non potendo o non volendo lasciare l’impiego, decidono di limitarsi a svolgere le mansioni strettamente necessarie.
La conseguenza più grave è la fuga di talenti qualificati verso Paesi europei dove le prospettive retributive, i percorsi di crescita professionale e la ragion d’essere a livello organizzativo sono molto più chiari e vantaggiosi.
Evitare le dimissioni con aumento stipendi, welfare e senso di scopo
Per contrastare efficacemente la crisi del valore e riattivare l’attrattività del mercato del lavoro, le aziende devono adottare urgentemente un approccio proattivo e olistico alla retention.
La prima strategia è l’innalzamento degli stipendi base per allinearli ai benchmark di mercato, un’azione che deve essere sostenuta dalla riduzione del cuneo fiscale.
A livello strutturale, è fondamentale investire nella Produttività Totale dei Fattori (PTF), attraverso innovazione e digitalizzazione, per incidere sulla produttività e aumentare la profittabilità.
Inoltre, occorre rafforzare la contrattazione di secondo livello, legando gli aumenti salariali ai risultati specifici dell’azienda e alla performance.
Cruciale è l’utilizzo di strumenti di welfare aziendale (sanità integrativa, rimborsi per istruzione, buoni spesa), che offrono un beneficio economico diretto al dipendente.
Parallelamente, è indispensabile investire sulla qualità della vita lavorativa, offrendo maggiore flessibilità oraria e smart working.
Infine, le aziende dovrebbero integrare iniziative di well-being e cultura aziendale, come la promozione del volontariato aziendale. Questa attività non solo rafforza l’immagine etica del brand, ma cementa anche il senso di appartenenza e la coesione del team, ricostruendo quel patto di fiducia e riconoscimento che rappresenta un antidoto duraturo alla frammentazione dell’anima e dell’orgoglio lavorativo.
